Produzione 2012 – “Risvegli”
Un percorso coreografico stilistico che racconta momenti preziosi della vita, come oggetti di una collezione privata, racchiusi nel cassetto della memoria. 4 le stanze disegnate dal Maestro Vincenzo Gentile, per rappresentare la primavera, dai titoli: “Il Tempo”, “L’attesa”, “L’inverno”, “La Primavera”.Il tutto impreziosito dalla voce narrante di Simone Barraco. Le interpreti sono le allieve del dipartimento di danza del Centro Artistico Internazionale Il Girasole.
L’ATTESA/IL TEMPO
Ho detto alla mia anima di stare ferma, e di stare ad aspettare senza sperare.
Perché sperare sarebbe sperare la cosa sbagliata;
Di stare ad aspettare senza amore.
Perché l’amore sarebbe amore per la cosa sbagliata;
Ma resta ancora la fede.
Ma fede e amore e speranza sono tutte nell’attesa.
Aspetta senza pensare, perché non sei pronto per pensare.
E allora l’oscurità sarà luce, e l’immobilità danza.
(Elliot)
L’INVERNO
Un giorno e un altro
e un altro
l’accatastarsi dei giorni,
una crescita muta,
un rigonfiamento del ventre
Il riposarsi da una stanchezza
instancabile
il seno sommerso
dai maglioni,
occhi pesanti
dietro quella finestra appannata
dal freddo
e un disegno abbozzato per riempire
quel tempo senza tempo
eternato, sapore
d’oblio.
Nella tana come lupi
a rosicchiare un poco di tepore,
dentro;
e fuori?
Un velo d’acqua lucido
sull’asfalto, fuori.
No, non è tempo ancora.
il telefono squilla,
e dall’altro capo
nessuno
nessuno sant’iddio,
santa la domenica,
santo il sole atteso
e se accompagnato
dalla pioggia,
che benedica questa preghiera senza rosari,
la preghiera dell’attesa,
la preghiera d’un ritorno,
d’un salto, di un incontro.
(Barraco)
LA PRIMAVERA
cominciava così…
dopo un lungo inverno
voglia di sole anche da bambini
anche quando non si sente il freddo
e ci si ritrovava a frotte al primo raggio
che timido ci invitava
fuori nella strada e usciva
a giocare con noi
l’appuntamento era lì
al sentiero delle viole
aria trasparente e pungente di un febbraio
tracce di neve nella terra e fango
cespugli di bacche intirizzite illusioni
di una primavera
ma poi quando meno te l’aspettavi
ecco le scorgevi
ai piedi della quercia secolare
dal tronco nero e muschioso
fra l’edera gelosa di mostrarle
facevano capolino scontrose
a cercare il bacio del primo sole
le prime viole!
ed era una festa chi primo le scorgeva
si avvisava il gruppo in fila indiana
e l’eco correva nella vallata
si ritornava con le scarpe sporche di terra
mani bagnate e la paura
dei rimproveri a casa stringendo nel pugno
quel tesoro
le prime violette strappate dallo stelo
che con aria triste e mite
arrivavano a casa in quel vasetto
con il capo basso già appassite
bella quell’età dove bastava poco per sognare
ma così troppo breve
una primavera colta troppo in fretta
a pensarci bene come quella
prima timida scontrosa violetta
cominciava presto
cominciava così
(Anonimo)
L’INCONTRO
I ragazzi che si amano si baciano in piedi
Contro le porte della notte
E i passanti che passano li segnano a dito
Ma i ragazzi che si amano
Non ci sono per nessuno
Ed è la loro ombra soltanto
Che trema nella notte
Stimolando la rabbia dei passanti
La loro rabbia il loro disprezzo le risa la loro invidia
I ragazzi che si amano non ci sono per nessuno
Essi sono altrove molto più lontano della notte
Molto più in alto del giorno
Nell’abbagliante splendore del loro primo amore
(Hesse)
L’ADDIO
L’uomo dice alla donna
t’amo
e come:
come se stringessi tra le palme il mio cuore,
simile a schegge di vetro
che mi insanguina i diti
quando lo spezzo follemente.
L’uomo dice alla donna
t’amo
e come:
con la profondità dei chilometri,
con l’immensità dei chilometri
cento per cento
mille per cento
cento volte l’infinitamente cento.
la donna dice all’uomo:
ho guardato con le mie labbra
la mia testa il mio cuore
con amore con terrore
curvandomi sulle tue labbre
sul tuo cuore sulla tua testa
e quello che dico adesso l’ho imparato da te
come un mormorio nelle tenebre
e oggi sò che la terra
come una madre dal viso di sole
allatta la sua creatura più bella.
ma che fare?
I miei capelli sono impigliati ai diti di ciò che muore
non posso strapparne la testa devi partire
guardando gli occhi del nuovo nato
devi abbandonarmi
La donna ha taciuto si sono baciati
un libro è caduto sul pavimento
una finestra si è chiusa.
E’ così che si son lasciati.
(Hikmet)