Dipartimento di Recitazione

Le materie che fanno riferimento al Dipartimento di Recitazione sono:

  • Recitazione teatrale
  • Recitazione cinematografica
  • Drammaturgia
  • Commedia dell’arte
[rev_slider_vc alias=”accrec”]

Artisti? No, Artigiani!
In primis non voglio attori; non ci deve essere la responsabilità di “recitare”, cominciamo auspicando di riuscire a vivere.
Stanislaskij sosteneva che le tappe del risveglio e rinnovamento del teatro sarebbero scaturite in un ambiente di dilettanti e non in quelli sclerotici e scettici dei professionisti.

L’etimo di re-citare è ri-dire un qualcosa già detto.
Questo termine ci porta già verso una rotta intellettuale, concettuale.
Non è un caso che in molte lingue, il verbo recitare è sinonimo di gioco: to play, jouer, ed anche in commedia dell’arte le compagnie definivano la loro arte Lazzo, scherzo, gioco.
Quando si pensa all’attore si pensa ad esso come un fautore e cavaliere della cultura, come un intellettuale. In realtà il termine attore deriva dal greco: Attore = “colui che fa – che agisce”; non “colui che pensa o ridice”.
L’attore Agisce, agisce, agisce, ma non in maniera casuale!
L’attore è essenzialmente un artigiano, che modella il suo corpo e la sua voce e attinge dal proprio sé, come fonte primaria del suo vissuto scenico.
Il fine ultimo non è solo la performance, come momento palese del proprio lavoro, ma il processo che continua in una ricerca costante.
Il lavoro dell’attore è da noi concepito come un lavorio costante di “bassa manovalanza”. Ci dedichiamo alla nostra professione in un atteggiamento simile a quello dell’intagliatore medievale che cercava di ritrovare nel suo pezzo di legno una forma pre-esistente.

Il lavoro dell’attore è una continua ricerca introspettiva, per riportare sulla scena (zona di finzione) una verità organica, per la quale il pubblico si possa rispecchiare o confrontare.
Questo implica una conoscenza di se stessi non indifferente, poiché nella vita quotidiana l’individuo non è quasi mai se stesso, ma lo stereotipo di ciò che vorrebbe inconsciamente essere.
Come ci insegna Pirandello nella famosa opera “uno nessuno e centomila”, ogni individuo nella vita assume una o più maschere che, sedimentandosi diventano sovrastrutture e atteggiamenti comportamentali.
Il primo obiettivo dunque, è annullare ogni sovrastruttura propria dell’allievo-attore, ed eliminare qualsiasi intralcio per agire in scena in modo creativo.
Nel nostro teatro, formare un attore non vuol dire insegnargli una serie di tecniche; ma eliminare ogni “in più”, che è resistenza al processo creativo.
Questo è un mestiere simile a quello dello scultore, che elimina tutto ciò che oscura la forma, già esistente in un certo senso, all’interno del blocco di marmo, dove viene “scoperta”.
Prima di padroneggiare gli strumenti e gli oggetti scenici, l’attore deve conoscere il linguaggio del proprio corpo, così come per una lingua, prima va imparato l’alfabeto e poi si possono usare le lettere per comporre parole e frasi. In questo senso l’attore deve imparare a leggere gli spazi, il proprio spazio in relazione agli altri spazi, formando una sintassi di lettura (ordine) essendo l’attore sia il materiale, che l’organizzatore del proprio materiale.
Una volta imparato a leggere, potrà incidere con il suo corpo e la sua voce, la scena in maniera consapevole. Raggiunta la consapevolezza che l’attore è il “meccanico” e il suo corpo la “macchina” con cui deve lavorare, il risultato in scena non sarà più la realtà imposta dai suoi limiti, ma il risultato di una libera scelta. Ci vogliono anni per questa conquista di libertà. Anni di lavoro e di esercizi ideati espressamente che, per mezzo di un allenamento fisico, plastico e vocale tendono ad orientare l’attore verso il giusto tipo di creazione.

Simone Barraco